Mi ha cambiata, questo virus che da Marzo come un tornado si è scagliato sulle nostre vite non mi fa essere più la “me” di prima.
Il periodo del lockdown tutto sommato l’ho vissuto abbastanza bene, a parte qualche momento di cedimento e lacrime per tutto il dolore che siamo stati chiamati ad affrontare.
E’ dopo il lockdown che la mia vita non è più la stessa. Ci sono tantissime cose che non sono più tornate al proprio posto. Mi sento come in un limbo, in stallo, come se non sapessi più cosa realmente voglio.
Come se stessi vivendo una vita parallela…
Sono in molti a non sapere se potranno riavere la vita di prima, altri invece già lo sanno perché a loro il Corona ha portato via qualcosa…
Per me sono cambiate cose a livello pratico, ma non solo, è cambiato anche il modo in cui progettavo.
Ho preso consapevolezza del poco tempo che avevo prima e di quanto fosse gestito male . In quarantena ho capito quanto sia relativo il concetto di orario, siamo sempre tutti legati a degli orari, il suono della sveglia, la colazione, prepararsi per il lavoro, pensare al pranzo, tutto sempre di corsa, tutto scandito sempre dai soliti ritmi.
Quanti di voi come me avranno capito di non voler tornare a quel lavoro, e quanti di voi invece saranno costretti (come me) a tornare a quel lavoro, a quell’ansia, a quel malessere…
Che poi il lavoro è diventato anche un grande punto interrogativo fra cassa integrazione e smart working. Fortuna averlo ancora, certamente! Ma il rendersi conto che in un attimo tutto può saltare rimescola inevitabilmente le priorità.
Sento che ho meno voglia di fare, di comprare, di andare a giro. C’è il disagio di stare in mezzo alla gente, la mattina faccio fatica ad alzarmi a mettere in modo corpo e mente. In casa sento protezione uscire mi crea malessere.
Il senso di paura maggiore che ho provato quando ci siamo trovati faccia a faccia con il virus, è stata la possibilità della perdita delle persone care, il non poter stare con loro in caso si fossero ammalate. Alcune mattine del lockdown mi sono svegliata piangendo, una scena vista al telegiornale cinese, che raccontava il portar via di casa con la forza una persona forse malata da parte dell’esercito mi rimbombava in testa, e se succedesse anche qui mi ripetevo?!
Paura, tanta paura…
Niente più giratine, vetrine, voglia di…è come se questi mesi obbligata in casa avessero creato un cambio di abitudini.
Meno parrucchiera, estetista, meno di tutto, come se mi bastassi un po’ di più.
C’è però anche una sensazione fortissima verso un futuro diverso, meno avere ma più essere, un Van, il mio amore, gli affetti e la libertà di muoversi per il mondo senza orari, vincoli, e doveri. Se chiudo gli occhi, sento il freddo vento del nord che mi passa fra i capelli con in mano una tazza di caffè nero bollente che sorseggio guardando un tramonto.
C‘è l’idea di cercare una nuova dimensione, di muovermi verso nuovi orizzonti, come se questa vita mi andasse ormai stretta. C’è una gran voglia di leggerezza e spensieratezza che ultimamente non riesco ad avere.
C’è la paura dell’incognito, un futuro che fa male, il dispiacere per mio figlio che tutti i giorni si deve confrontare con la parola morte, la sua spensieratezza che viene aggredita da regole, divieti. Mi dispiace che non abbia la possibilità di godere a pieno di uno dei momenti più belli che si debba muovere con il timore di toccare o abbracciare un amico. Ci sono però dei divieti da dargli, con dispiacere ma inevitabili.
A 15 anni le porte si devono spalancare non chiudere, e invece c’è timore, preoccupazione, e apprensione…
Si cerca di non soccombere all’ansia, cosa importantissima pensare con positività ma c’è il nodo alla gola di non riuscire a fare la cosa giusta, in fondo non abbiamo gli strumenti perché si vive una cosa mai vista prima.
E poi per una come me molto fisica e affettuosa, la distanza da tenere è spesso motivo di disagio. Non che di solito mi metta ad abbracciare gli sconosciuti ma questo virus mi ha costretta a meno naturalezza, a controllare gli spazi, a guardare le persone con circospezione e distacco. A pensare che il tavolo accanto al mio potrebbe essere troppo vicino, a sentirsi a disagio per uno starnuto o un colpo di tosse…
Non so più se porgere la mano e poi lavarla, o se porgere il gomito. Il gomito, ma dai…stiamo scherzando? Mascherina si, ma nei luoghi aperti no, la mascherina fa male, non posti affollati, non concerti, non cinema, code per tutto e poi c’è questa storia della santificazione che alla fine finiremo per non avere più anticorpi e moriremo per un raffreddore.
Insomma il non saper bene come muoversi.

Non so se e quando le cose torneranno al loro posto, so anche che è segno di grande maturità adattarsi ai cambiamenti ma lo sforzo è così grande che forse è per questo che mi sento sempre stanca. Al momento sento che niente è come prima, forse ci saranno anche cose migliori, da grandi difficoltà e dolori si dovrebbe migliorare, ma mi addormento pensando di vivere una vita non mia, una vita che non mi appartiene, con un gran peso sul cuore per l’incertezza che si respira.
Questa vicenda mi ha portato a prendere consapevolezza su tante cose , e a pensare quanto in un giorno possa cambiare tutto. Questo virus ci ha fatto capire quanto siamo fragili e ospiti su una terra che noi stessi stiamo distruggendo…
Speriamo che da tutto questo ne nasca un insegnamento che ci faccia sentire parte di una comunità e non singoli ed egoisti individui…
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